sabato 15 dicembre 2012

Gli occhi del mare

Una delle cose che più amo al mondo è il mare d'inverno. Non c'è mai nessuno, una lingua di spiaggia lambita dalle onde leggere, il confine tra mare e terra sul quale far viaggiare liberi i pensieri, lasciandosi accarezzare dal vento freddo.
Il confine del mondo.
In un suo libro Baricco parlava dell'Oceano Mare infinito, che aveva il potere di donare la vita e poi, crudelmente, di strapparla a noi povere mortali. L'Oceano Mare infinito, rifugio per i relitti delle nostre anime, purificazione e dannazione insieme. E Baricco parlava anche degli occhi del mare, impossibili da trovare eppure necessari per ricominciare a vivere.
Il problema è, cosa si fa quando si trovano quegli occhi? Si ha davvero il coraggio di ricominciare a vivere?
Perchè il fatto è che ci sono occhi che ti divorano. Ci sono occhi sinceri, limpidi, folli che riescono a penetrarti dentro, a strisciare sotto la pelle e lacerare le barriere dell'anima. E quando l'anima è scoperta, spogliata della sua armatura, sanguina. 
Ci sono occhi che ti aprono un abisso dentro, ma spesso abbiamo paura di lasciarci cadere in quell'abisso e allora rimaniamo in bilico sul bordo. Sul confine. Guardiamo in basso, terrorizzati di quello che potremmo trovare in fondo a quel buco scuro, incapaci di vedere la luce. Incapaci di non provare paura, che è il male peggiore. Ci ammaliamo per la troppa paura... o, a volte, per il troppo amore.
Ma se la malattia fosse anche la medicina? 


lunedì 3 dicembre 2012

Viaggi, Dublino.

Avete mai avuto la sensazione di sentirvi a casa, pur essendo in realtà lontani chilometri da quella che avete sempre definito come tale? Nella mia breve esistenza, ho avuto il piacere di provare un sentimento simile solo una volta, solo in un posto: Dublino.
Ci sono stata una settimana, tra l'altro si trattava di uno stage scolastico, ma quella città mi ha rapito il cuore. Per essere proprio sinceri, sono sempre stata un po' innamorata dell'Irlanda. Voglio dire, come si fa a non amarla? Con le sue distese di verde, i castelli e le rovine antiche che sembrano venire direttamente da una vecchia fiaba, i miti e le leggende. Mi ha sempre affascinata, c'avevo lasciato un pezzo di cuore ancor prima di andarci realmente e quando finalmente ero lì, è stato davvero come arrivare a casa.
La gente è cordiale ed educata, un po' matta sì (ed è sicuramente vero che bevono molto, eccome se è vero!), ma sempre gentile. E' anche vero che il tempo lì fa abbastanza schifo: pioggia e vento gelido quasi tutti i giorni, almeno la settimana in cui ci son stata io; ho perso il conto dei poveri ombrelli di Penny's sacrificati per proteggermi dal freddo. Pur essendo già la fine di Aprile, si doveva andare in giro con cappotti e sciarpe pesanti. Nonostante il tempo antipatico, però, camminare per le strade di Dublino è stato meraviglioso.
C'è un'atmosfera completamente diversa e la cosa più assurda è il silenzio. Malgrado il traffico e la fiumana di gente, c'era sempre un silenzio quasi irreale per le strade. Sembra assurdo, lo so, non credo si possa spiegare o capire finché uno non lo sente da sé. Come se si trattasse di una sorta di ordine, un equilibrio in mezzo al caos fatto di volti confusi e distratti ed autobus gialli. Era davvero straordinario! E straordinario era anche tutto il resto: dai musei ai monumenti, la biblioteca del Trinity, i negozi ed i ristoranti (se mai doveste andare, Eddie Rockets è una tappa obbligatoria!), i pub e le villette basse e strette e così tipicamente anglofone, caratterizzate dalle porte colorate: verdi, gialle, blu, rosse; ovunque posi lo sguardo, Dublino è un'esplosione di colori, profumi e suoni!
Io mi sono completamente innamorata di quella città, mi sono sentita a casa, nel posto giusto, come se vivere lì potesse cambiarmi davvero ed in positivo.







I gabbiani ed il fiume, un'altra cosa da amare di Dublino. La bella Liffey è lì che scorre placida ed indisturbata, portandosi dietro vite e ricordi, speranze e sogni, appena sfiorata dal tempo e da occhi languidi.
Quella parte di cuore che c'avevo lasciato da bambina, l'ho ritrovata mesi fa, sotto la pioggia, mentre guardavo il fiume scorrere lento. L'ho ritrovata, pulsante e viva, e l'ho lasciata lì, sul fondo del Liffey.

sabato 17 novembre 2012

Aspettando Godot, 3/5



Un salice, una strada. Due uomini ed il tempo.
E’ con questi semplici elementi che Beckett rappresenta l’essenza della vita: l’attesa.
Parafrasando Bukowski, la vita dell’uomo è una sorta di inconsapevole attesa perenne: c’è sempre qualcosa che attendiamo e desideriamo, per la quale magari viviamo, per poi ritrovarci il più delle volte a mani vuote o semplicemente delusi dalle nostre stesse aspettative.
In questa commedia dell’assurdo, ciò che Beckett ci mostra è proprio come l’attesa sia una grossa parte della nostra esistenza. I due personaggi principali, Estragone e Vladimiro, passano le loro giornate ad attendere l’arrivo di questo fantomatico Godot, che però sembra non voler mai arrivare. 
Chi sia in realtà Godot, Beckett non lo dice. Molti hanno pensato si trattasse di Dio, data anche la somiglianza del nome Godot con la parola inglese God; altri affermano sia la speranza, altri ancora la morte.
E’ difficile in effetti trovare una soluzione a tale quesito, l’opera ci lascia libera interpretazione
Personalmente, penso che Godot rappresenti la vita stessa. I due protagonisti per la tutta la durata della commedia non fanno altro che cercare modi per passare il tempo, lamentandosi della loro condizione, povera e miserabile. Vediamo come arrivino addirittura a proporre di suicidarsi impiccandosi o come continuino a ripetere che farebbero meglio a separarsi così, forse, la loro vita diventerebbe migliore; ovviamente, torneranno sempre insieme senza mai riuscire davvero a lasciare l’altro.
In fondo la nostra esistenza è così: perennemente insoddisfatti di noi stessi, ci lamentiamo della vita, cercando delle soluzioni, senza però avere mai il coraggio di prendere una decisione reale. Non facciamo nulla per cambiare concretamente la nostra condizione, ma anzi aspettiamo, quasi nella speranza di vedere i nostri problemi risolversi da soli. Mettiamo scuse a noi stessi, ci lasciamo divorare dalle ansie e dalle paure, diventando così incapaci di vivere davvero. Il peggior dramma  dell’uomo.
Nonostante io non ami molto leggere opere teatrali, questa di Beckett è stata davvero interessante: un viaggio alla scoperta della natura umana, di come ognuno di noi sia diverso ed irrimediabilmente uguale al prossimo.
Consigliato.

domenica 21 ottobre 2012

La mia crisi

Su Twitter hanno creato un profilo curioso (@LaMIAcrisi): ti chiedono di raccontare la tua crisi e condividerla sul loro sito, http://lamiacrisi.altervista.org/index.html. Io l'ho fatto:

La mia crisi è guardarmi intorno e vedere ragazzi e ragazze della mia età senza sogni. Giovani allo sbando, senza principi e valori, figli di una società distorta dove l’unica cosa che conta è apparire. Devoti al dio-denaro e dimentichi di tutto ciò che non sia materiale. Giovani che non sono neanche lontanamente interessati al futuro di questo Paese, relitto e fantasma di antiche glorie e splendori; che non sono interessati ad informarsi, a cercare una soluzione comune per poter tentare di cambiare le cose, o almeno provarci. Seguaci della massa, si riempiono la bocca di parole delle quali spesso ignorano il significato, vomitando giudizi su ciò che non conoscono. La mia crisi è vedere come le nuove generazioni vengano fatte crescere con un iPhone in mano piuttosto che un buon libro, educati sin da piccoli all’ignoranza ed al materialismo. Io credo che sia questa la vera crisi. Prima dei problemi economici e degli scandali politici, bisognerebbe insegnare ai giovani d’oggi il significato di parole come amor di patria, conoscenza e pudore. 

E voi? Qual é la vostra crisi? 

venerdì 12 ottobre 2012

Onorificenza, dove?

Oggi ho sentito alla televisione che il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato all'Unione Europea, come riconoscimento per tutti gli sforzi che la Comunità ha fatto dal secondo dopo guerra ad oggi, per come stia lottando per l'unità, contro la crisi economica.
Per un attimo ho pensato stessero scherzando, c'ho quasi sperato. Ma dico io, fate sul serio? Il Premio Nobel per la Pace ad un continente?! Mi sembra tanto una presa in giro.
E la cosa mi rende anche estremamente triste. Dove sono finiti i buoni? Quelli che cercano di cambiare davvero le cose, in modo concreto? Quelli che con le loro azioni hanno cambiato il mondo, sono rimasti nella storia, hanno fatto aprire gli occhi alle persone? Stiamo davvero allo sfascio.
Che poi, questa cosa del Nobel all'Europa mi sa tanto di farsa: a chi è stato davvero dato questo 'premio'? Hai capi di Stato, che si arricchiscono alle nostre spalle, decidendo di salvare l'economia di un Paese piuttosto che di un altro? Alla massa di corrotti e lascivi che si fanno portavoce di valori fantasmi? O è stato dato a noi cittadini, schiacciati sotto il peso dei loro errori e dei loro imbrogli? 
Insomma, da quando il Premio Nobel per la Pace è diventato un contentino? Una sorta di premio consolatorio da dare a noi poveri europei, che sembriamo tanto essere gli sfigati della situazione.
Siamo diventati davvero tristi. L'umanità, è davvero diventata triste. 

lunedì 1 ottobre 2012

Oceano Mare, 5/5




 Il mare. Il mare come vita, come forza, come una delle più affascinanti meraviglie della natura. L'oceano mare infinito. Ed il mare come morte, come un mostro nemico dell'uomo, che distrugge e disperde vite.
E' questo che ci presenta Baricco: il mare.
Descritto in ogni sua sfumatura, esso viene considerato come il punto d'incontro e, forse, d'arrivo di ogni personaggio. Perchè è lì che si recano i protagonisti del racconto, sul mare. E' nella vecchia locanda Almayer che si intrecciano le loro vite: chi per scappare dalla realtà, chi per guarire, chi per trovare la fine delle cose, è lì che si recano tutti, sul mare.
Spazio e tempo sono indefiniti e la presenza del mare sembra porre la locanda in una dimensione quasi eterea ed immobile. I giorni passano ma nulla si muove e la vita trascorre tranquilla ed intoccata su quella spiaggia che è come un limbo. I personaggi vivono nella ricerca di sé e di quel qualcosa che forse non troveranno mai. Baricco in questo suo libro non ci spiega, non ci dice nulla ma semplicemente, racconta. Racconta del mare e dei sogni, ma soprattutto racconta della vita, di quanto essa sia dura ed imprevedibile e dolce e sacra nel momento in cui la si riscopre.
Nonostante lo stile particolare ed a volte pedante, così tipico di Baricco, il libro è un viaggio emozionante, che lascerà confusi e meravigliati dinanzi alla bellezza di questo Oceano Mare infinito. 
Assolutamente consigliato.

mercoledì 19 settembre 2012

Viaggi, Roma.

Qualche settimana fa sono tornata a Roma con delle amiche. Una breve vacanza, meglio chiamarla fuga, per staccare un po' da tutto e tutti prima che ricominciasse la solita routine scuola-casa-casa-scuola.
Ad essere proprio sincera, e qui penso che molti non si troveranno d'accordo con me, Roma non mi fa impazzire. Non fraintendetemi, è una bellissima città, ma diciamo che non fa per me... Non mi ha rapito il cuore, ecco. 
Prima di tutto perchè è troppo caotica, frenetica ed a me la fretta non mi piace per niente. Piena di traffico, super affollata, tra il suono dei clacson e le urla della gente, non si può mai camminare davvero tranquilli. Non si può neanche andare in bici (cioé, si potrebbe, ma sarebbe una vera impresa!) ed io adoro le città dove invece é possibile girare con le biciclette, fanno tanto anni '20, non chiedetemi perché :) 
E' pur vero però che ovunque ti giri, vieni colpito da una bellezza immensa: chiese e mausolei, palazzi antichi e rovine, si affiancano agli edifici ed alle strade più moderne.
Roma è davvero culla della storia; ha il potere di farti sentire quasi fuori dal tempo, quelle dimostrazioni di potere e maestosità ti fanno sentire piccolo e fragile e nello stesso tempo ti rendono orgoglioso di appartenere ad un popolo che tanto ha saputo regalare alla storia. 
Guardare il tramonto dall'alto di Piazza di Spagna o poter ammirare il Tevere di notte, così come l'imponente sacralità del Vaticano, mi hanno lasciato una sensazione di melanconia quasi, una sorta di nostalgica tristezza per epoche mai vissute e sempre e solo sognate. 
Penso che poche città possano considerarsi delle meraviglie e Roma, nonostante tutte le sue contraddizioni ed incrongruenze, è decisamente una di queste.




Peccato, però, non aver mantenuto la grandiosità dei nostri antenati; non abbiamo imparato proprio niente da loro.

sabato 8 settembre 2012

N.B.: pateticità is the way

Guardi la pioggia scorrere lenta sul finestrino dell’autobus in corsa. Il tuo sguardo viene catturato da due singole gocce d’acqua che scivolano lente sul vetro sporco. Sembrano quasi rincorrersi, fermando la loro discesa, aspettandosi quasi, ed insieme lasciandosi cadere per poi scomparire chi sa dove.

Noi siamo come quelle gocce d’acqua. Abbiamo bisogno di rincorrerci, di scappare da tutto e tutti perché troppo orgogliosi o semplicemente troppo annoiati per dare un senso alla nostra vita. Allora è facile dare la colpa agli altri o al destino. Ma siamo noi. Il vero problema siamo noi. Noi, con le nostre insicurezze e paure, con le nostre paranoie, con il nostro non essere mai pronti. Noi, che abbiamo sempre bisogno di guardare indietro per vedere se quell’unica gocciolina ci stia ancora seguendo, timorosi di essere rimasti da soli, perché davvero non ci sappiamo stare, da soli. E’ brutto. E più che brutto è triste, stare da soli. Ci fa sentire così patetici, come se il non avere una persona a fianco ci renda in qualche modo dei falliti. Che poi, vuoi vedere che su sei miliardi di persone uno non riesce a trovare quella giusta per sé? Eppure.

Eppure succede che ti ritrovi da sola, tra mille paranoie ed apatie, bisognosa di uno sfogo, di piangere, di qualcuno che ti abbracci soffocandoti col suo profumo. Di qualcuno che ti dica che andrà tutto bene. Ed invece sei sola. Nessuno ti abbraccia, nessuno ti consola. E tu piangi da sola. Piangi per tutte quelle paranoie ed apatie, per la tua vita che non sai in che direzione sta andando, che non sai neanche più se la stai vivendo o semplicemente subendo. E poi pensi ai tuoi amici ed alla tua famiglia ed a tutte quelle altre persone, sei miliardi di persone!, ed al fatto che nonostante tutti loro tu sei sola. Ed allora ti viene ancora di più da piangere, perché la situazione è così triste e patetica, ti fa sentire così stupida e debole ed anche annoiata con te stessa e con la tua testa che non vuole smettere di pensare; col tuo cuore che non vuole smettere di fare male, come se lo stessero strappando pezzo per pezzo dal petto. E tu sei lasciata lì, da sola, a sanguinare ed a darti della stupida, patetica, buona a nulla.

E sai che non passerà. Farai finta, come tutte le volte, che sia passato e tornerai a sorridere e fare la scema con gli amici perché portare una maschera d’allegria è molto più facile che sederti e parlare di quello che ti sta divorando l’anima. Ti chiederanno tutti consigli, a te che non sai nemmeno più cosa vuoi farci con la tua vita, e tu sarai anche brava a darglieli tutti giusti, quei consigli. Perché è così che funziona. Tu sei quella che ride sempre, quella che ‘sprizza felicità da tutti i pori’, quella che non si lascia mai abbattere ed è sempre positiva. Quella che non ha paura di rimanere da sola, quando invece la realtà è che sei terrorizzata a morte perché già ti rendi conto di esserlo.

Però va bene così. Non ti piace avere la compassione della gente, non ti piace ricevere consigli da persone che cercano solo di salvarti, sentendosi quasi in obbligo a farlo, quando tu in realtà non vuoi neanche essere salvata! Cercare di salvarsi significherebbe dover affrontare troppe cose, dover combattere e tu davvero non ce la fai più, sei stanca e non vorresti far altro che spegnere il cervello che sembra non volersi fermare mai. Ti senti stanca e svuotata ed arida e morta dentro. Ma continui a sorridere. Continui a fare finta.

E va bene così.




Post personale, lo sfogo di una mente spezzata e stanca. 
Perdonate la pateticità della cosa, ma ne avevo bisogno.
Cercherò di evitarlo in futuro, dato che
non vuole essere un blog personale.
Grazie.

venerdì 31 agosto 2012

Antologia di Spoon River, 4/5


Vi siete mai chiesti, passeggiando in un cimitero, quale fosse stata la vita di quelle persone? Quale la loro storia? Personalmente è una cosa che mi rilassa, perdermi tra i ricordi e le fantasie di vite sconosciute, nomi e volti dmenticati tra le sabbie del tempo. Potrebbe risultare macabro ai più, lo so, ma spesso nei cimiteri si respira un'aria diversa, come se si potessero sentire gli echi delle anime perse, le voci di tutte le occasioni mancate e dei rimpianti. Un luogo di ritrovo, preghiera e comunione. 
In questa raccolta di poesie, Edgar Lee Masters è magistralmente riuscito a ricreare tale sensazione, quasi una corrispondenza d'amorosi sensi, raccontando la vita degli abitanti di Spoon River, un piccolo villaggio americano. Gli amori, i tradimenti, i vizi, i segreti di queste anime perse diventano quasi il ritratto di una nazione, una America forte di sé e della sua storia, culla di mille contrasti e contraddizioni.
Un vero classico, pilastro della letteratura americana.
Vivamente consigliato.

giovedì 30 agosto 2012

Si ricomincia

Si ricomincia.
L'ennessimo tentativo di portare avanti un blog, che però questa volta non sarà tanto un blog personale quanto più un portale di discussione su cinema, libri, attualità, fotografia, musica e viaggi. O almeno ci si prova. 
Grazie a chiunque leggerà e, magari, lascerà un commento. Un po' di feedback costruttivo è sempre gradito ;)

-A.